Si è parlato a lungo del diritto all’oblio, astrattamente qualificabile come il diritto ad essere dimenticati dal web (circostanza che, in realtà, pare, oggi, quasi impossibile) e del suo controverso bilanciamento con il diritto di cronaca, con cui il diritto alla riservatezza è suscettibile di entrare in conflitto.
La questione è tutt’altro che astratta, se consideriamo le sempre più numerose pronunce dei tribunali nazionali al riguardo.
Quando i dati personali sono trattati in abbinamento a notizie di rilevanza mediatica, ad esempio di critica politica, di cronaca, accanto al diritto alla riservatezza, subentra la necessità di tutelare anche altri diritti, come il diritto all’immagine, all’onore e alla reputazione.
Ma, come si assicura il diritto all’oblio e quali sono, quindi, le misure che un host provider (colui che fornisce servizi di hosting) deve adottare? Come può, concretamente, l’utente chiedere ed ottenere la rimozione di un commento o di un link o di qualsiasi altra informazione che lo riguarda da parte del provider di un social media o di un motore di ricerca?
La risposta è offerta dalla deindicizzazione.
La giurisprudenza definisce la deindicizzazione come “quel procedimento diretto ad evitare l’agevole e automatica reperibilità sul web degli articoli contestati semplicemente digitando il nome e cognome dell’attore” (Tribunale Roma del 03-07-2019) e con cui “ il dato personale non viene rimosso dall’insieme dei dati memorizzati nel web, ma soltanto sottratto ad una modalità di reperimento semplice ed istantanea, permanendo in rete la possibilità per l’utente di accedere al contenuto delle pagine indicizzate attingendo ai singoli siti sorgente” (Tribunale di Milano, Sez. I, 24.01.2020).
In sostanza, la persona interessata dal contenuto online può chiedere la cancellazione delle informazioni che lo riguardano, rivolgendosi al gestore del motore di ricerca e/o al titolare della pagina web. Tecnicamente, il contenuto che si intende rimuovere, pur essendo ancora presente sul web, diviene inaccessibile tramite ricerca ed il dato personale non è più rintracciabile.
La Corte di Giustizia della Comunità Europea (caso Eva Glawischnig-Piesczek c. Facebook Ireland Limited del 03/10/2019, n. 18/18) ha affermato che il gestore di un motore di ricerca deve accogliere le richieste di deindicizzazione di link che rimandano a pagine internet in cui si riferiscono dati particolari personali.
In astratto, il diritto alla deindicizzazione, quale applicazione del diritto all’oblio, sussiste a condizione che la notizia non sia “fresca” e che non vi sia, quindi, un interesse pubblico alla diffusione della stessa. Più facile a dirsi che a farsi.
Nonostante le indicazioni degli esperti (si vedano le Linee Guida dell’ EDPB n 5/2019, oggetto di recente revisione, sui motori di ricerca), infatti, almeno per il momento, pare permanere ancora una condizione di incertezza sui presupposti per un’effettiva tutela di tale diritto. E’ da ritenere, però, che questa condizione sarà presto superata, atteso il rilievo di ordine pratico della questione, in continuo crescendo.