Nati come semplice strumento di condivisione ed intrattenimento, negli ultimi anni i social media sono diventati per alcuni una stabile fonte di reddito. La nuova figura professionale dell’influencer ha permesso a molti di fare delle proprie attività di svago digitale un lavoro vero e proprio.
In questo nuovo e libero campo di attività sono stati coinvolti anche i bambini, si pensi solo ad Anastasia Radzinskaya, star di YouTube che a cinque anni ha già milioni di followers e guadagni stimati per il 2019 di 18 milioni di dollari.
Di fronte ad una situazione che molto facilmente si presta ad abusi, costrizioni e sfruttamento dei minori per fini commerciali non solo da parte degli sponsor ma anche dei loro stessi genitori, l’Assemblea Nazionale, il parlamento francese, ha da poco approvato all’unanimità una legge.
Proposta dal parlamentare Bruno Studer (del partito La République En Marche), la norma estende le tutele già esistenti per i minori che vengono impiegati in alcuni ambiti lavorativi particolari, come quello pubblicitario e dello spettacolo, anche a queste nuove professioni digitali.
Nel dettaglio, la nuova normativa francese prevede che qualsiasi azienda (o genitore) che voglia impiegare minorenni nei social media dovrà ottenere preventivamente l’autorizzazione dalle autorità locali e che, comunque, l’orario di lavoro dovrà rispettare dei precisi limiti modulati in base all’età. Inoltre, è previsto l’obbligo che tutti i guadagni dei minori siano versati su un conto bloccato ed intestato unicamente a loro, a cui avranno accesso una volta raggiunti i 16 anni di età.
In aggiunta, questa nuova legge introduce per il minore la possibilità di esercitare il diritto all’oblio tramite propria semplice richiesta. Ciò significa che il gestore del social network nel quale sono presenti contenuti sul minore avrà l’obbligo di rimuoverli su sua semplice richiesta e non solo su ordine di un giudice.
In Italia la tutela dei baby influencer trova attuazione, sebbene non in forma altrettanto stretta a come avviene in Francia, grazie alla disciplina in vigore in materia di lavoro minorile. Questa regolamentazione è essenzialmente stabilita dalla L. 17 ottobre 1967, n. 977, successivamente modificata per dare attuazione alla direttiva 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro.
Secondo la nostra disciplina nazionale, l’età minima per l’accesso al lavoro è, dopo le modifiche introdotte dall’art. 1, comma 662, della legge n. 296/2006, di sedici anni ma è anche necessario che siano stati svolti almeno dieci anni di istruzione scolastica. Nell’ambito dell’istruzione rientrano anche i percorsi di apprendistato.
È tuttavia lecito l’impiego dei minori, anche se di età inferiore degli anni sedici, in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo (attività definite come “leggere”), purché non siano pregiudicati la sicurezza, l’integrità psicofisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale.
Vi è, poi, un generale divieto di adibire i minori al lavoro notturno, ossia il periodo di almeno 12 ore consecutive comprendente l’intervallo tra le ore 22 e le ore 6, o tra le ore 23 e le ore 7. Tuttavia, in deroga a tale divieto, la prestazione lavorativa “leggera” del minore impiegato in attività di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo – preventivamente autorizzata dalla Direzione provinciale del lavoro – può protrarsi fino alle ore 24 e non oltre.
La normativa italiana non prevede però una forma di tutela del patrimonio così stringente come quella prevista in Francia dalla nuova legge di tutela dei baby influencer. Nel nostro paese, comunque, i guadagni di un minore, così come il suo patrimonio, sono considerati a tutti gli effetti di sua proprietà e ai genitori è attribuito il ruolo di amministratori nel suo interesse.
Insomma, la normativa italiana che disciplina l’accesso dei minori al mondo del lavoro offre già delle tutele per la nuova categoria dei baby influencer, prevedendo delle limitazioni generali volte a salvaguardare in modo speciale sia la loro salute che il loro diritto all’istruzione, ma rispetto alla nuova legge francese non garantisce le tutele capaci di proteggerli dai rischi specifici della loro attività sui social media.