I dispositivi di protezione collettiva (abbreviato in DPC) sono i dispositivi che hanno il compito di limitare un rischio o contenere un danno per la salute dei lavoratori. Si differenziano dai dispositivi di protezione individuale (DPI) in quanto a differenza di questi ultimi ciascun dispositivo protegge un insieme di persone esposte ad un certo rischio anziché solamente una singola persona.
Il D.lgs 81/2008 (T.U. sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) all’art. 15, lett. i) sancisce espressamente la “priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale”.
Nella gerarchia dei controlli del rischio, ai dispositivi di protezione collettiva viene quindi assegnata un’efficacia più alta rispetto ai dispositivi di protezione individuale.
Ciò significa che nella valutazione delle misure di sicurezza da adottare per la mitigazione o eliminazione di un rischio si dovrebbe valutare anzitutto la possibilità di adozione di dispositivi di protezione collettiva e solo successivamente la possibilità di adozione di dispositivi di protezione individuale.
La Cassazione, con sentenza n. 18137/2020, ha ribadito recentemente tale criterio prioritario, cassando la sentenza di secondo grado ed accogliendo il ricorso presentato dai genitori di un lavoratore volto ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all’infortunio mortale causato da una caduta dal tetto di un capannone.
In tal caso la Corte territoriale aveva ritenuto che il lavoratore fosse stato dotato di adeguati e sufficienti DPI e che la caduta dall’alto fosse stata causata da una sua condotta imprevedibile ed azzardata.
Secondo la Corte d’Appello, l’art. 15 D.lgs 81/2008 nello stabilire la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto a quelle individuali lascerebbe al soggetto responsabile un margine di apprezzamento legato a fattori quali la compatibilità con la situazione dei luoghi, il tipo di lavorazione da svolgere e la comparabilità dei rischi.
La Corte di Cassazione giunge a conclusione diversa sulla base del quadro normativo esistente in materia: il criterio della priorità delle misure di protezione collettiva rispetto a quelle di protezione individuale ha carattere diffuso e si estende anche a lavorazioni specifiche, quelle “in quota” (art. 111, lett. a).
Inoltre, l’obbligatorietà dei DPI che devono essere impiegati nel caso in cui i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da mezzi di protezione collettiva, presuppone che questi siano non solo prevalenti, ma anche vincolanti in prima battuta nella realizzazione delle misure di protezione.
Infine, l’art. 148 prevede che prima di procedere all’esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, fermo restando l’obbligo di predisporre misure di protezione collettiva, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego.
La Cassazione chiarisce che la formula “fermo restando l’obbligo di predisporre misure di protezione collettiva” deve essere intesa nel senso che ove si debbano svolgere lavori al di sopra di “lucernari, tetti, coperture e simili” sia obbligatoria la predisposizione di misure di protezione collettiva con l’unico ed esclusivo limite che la realizzazione di tali misure risulti incompatibile con lo stato dei luoghi o impossibile per altre ragioni tecniche.