Grazie agli sviluppi tecnologici dell’era digitale è ormai diventato estremamente facile comunicare con più persone, anche quando queste si trovano a grande distanza. Se, da un lato, queste possibilità offerte dal progresso hanno accelerato e migliorato la trasmissione di informazioni ed incrementato le possibilità di esprimere il proprio pensiero, dall’altra, hanno reso altrettanto semplici abusi ed illeciti. In particolare, è diventato estremamente facile cadere in forme di diffamazione che, nate sui social media, sono in grado di raggiungere un numero potenzialmente illimitato di destinatari in brevissimo tempo e, perciò, sono estremamente dannose per coloro che le subiscono.
Oltre alle problematiche relative alla determinazione in capo al gestore di un sito internet o di un blog di una forma di responsabilità per i contenuti pubblicati dagli utenti determinazione in capo al gestore di un sito internet o di un blog di una forma di responsabilità per i contenuti pubblicati dagli utenti e a quelle relative al delicato bilanciamento tra il diritto alla riservatezza ed il diritto di cronaca e di informazione bilanciamento tra il diritto alla riservatezza ed il diritto di cronaca e di informazione, vi è un altro aspetto che oggi si trova ad essere dibattuto: la quantificazione del danno da diffamazione su internet, dato che i canali di propagazione hanno oggi natura diversa rispetto a quelli fino a poco tempo fa trattati abitualmente dalla giurisprudenza.
Sin dalla pubblicazione della Legge sulla stampa del 1948 (Legge n. 47 del 1948) i giudici italiani hanno avuto soprattutto il compito di giudicare i casi di diffamazione a mezzo stampa, dato che solo attraverso questo strumento, al quale sono stati poi equiparati radio e televisione, era possibile diffondere il messaggio lesivo dell’altrui reputazione. Di conseguenza nel tempo si erano consolidati dei parametri da poter seguire per quantificare il danno non patrimoniale da diffamazione.
Negli ultimi tempi i social media e la loro struttura di diffusione delle opinioni degli utenti hanno imposto un ripensamento di questi parametri. La giurisprudenza ha agito in quest’ambito in assenza di indici prestabiliti, rifacendosi ai parametri utilizzati per i mass media tradizionali, quali la diffusione dello scritto, la sua rilevanza e la posizione sociale del diffamato, per riuscire a giudicare le opinioni pubblicate sui social (ad esempio, la sentenza del Tribunale di potenza n. 864 del 19.10.2018 e la sentenza del Tribunale di Firenze, sezione I, n. 2826 del 22.10.2018).
In quest’ambito ancora caratterizzato dall’incertezza si è inserito l’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano proponendo un sistema organico di criteri di orientamento per la liquidazione del danno da diffamazione avvenuta tramite i mezzi di comunicazione di massa. Questa proposta, basata sull’analisi di 89 sentenze emesse dai tribunali in materia di diffamazione nel periodo compreso tra il 2014 ed il 2017, riunisce tutti i parametri adoperati dalla giurisprudenza per la quantificazione dei risarcimenti, che sono:
1) notorietà del diffamante del diffamato;
2) natura, intensità e reiterazione della condotta e le sue conseguenze sulla vita del diffamato;
3) il mezzo di diffusione;
4) l’effettiva diffusione e la risonanza della notizia diffamatoria;
5) eventuali reputazioni già compromesse e riconoscibilità dell’offeso;
6) rettifiche o dichiarazioni correttive.
Sulla base di questi parametri l’Osservatorio identifica cinque differenti gradi di gravità della diffamazione, a cui corrispondono relativi importi dei danni risarcibili che vanno dai 1.000 Euro, per i casi meno gravi, fino ad oltre i 50.000 euro.
La proposta dell’Osservatorio milanese, presentata inizialmente nel corso dell’Assemblea nazionale degli Osservatori tenutasi a Milano nel 2016 è stata poi discussa, precisata ed approvata nel corso della successiva Assemblea nazionale di Roma del 2017. In seguito, questa proposta è stata anche diffusa e pubblicata dal Tribunale di Milano, la cui presidenza ha sottolineato come essa possa risultare “di utile e sicuro aiuto e riferimento” per il lavoro dei giudici e, quindi, dare maggiori certezze a tutti coloro che ricercano un risarcimento per le offese subite.