Una ricerca di McKinsey & Company1 ha evidenziato i risvolti negativi dell’assenza di una reale parità di genere nei contesti aziendali. In particolare, dalla ricerca condotta, sono emersi alcuni dati particolarmente indicativi:
“Le disuguaglianze di genere non sono solo un problema morale e sociale, ma anche economico: le donne rappresentano la metà della popolazione mondiale in età lavorativa, ma solo il 37% del PIL. Questa discrepanza sottrae all'economia globale 12.000 miliardi di dollari di ricchezza che potremmo condividere se ogni Paese migliorasse l'uguaglianza di genere con la stessa rapidità con cui lo fa il Paese che migliora più rapidamente nella sua regione. Una vera parità di genere ovunque aumenterebbe il PIL globale fino a 28.000 miliardi di dollari. Questo è il prezzo della disuguaglianza di genere”.
Le disparità ancora in essere nelle aziende2, oltre a comportare attriti nel contesto lavorativo, costituiscono un vero e proprio costo.
Il percorso
La consapevolezza del gender gap che caratterizza i luoghi di lavoro, insieme ai fondi messi a disposizione dall’Unione Europea nell’ambito del piano Next Generation EU, hanno spinto l’Italia ad inserire l’inclusione di genere tra gli obiettivi del PNRR (Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza) il piano di investimenti da 191,5 miliardi di euro predisposto dall’Italia a seguito della pandemia da Covid-19.
Il tavolo ministeriale di lavoro, costituito presso il Dipartimento per le pari opportunità ha da ultimo individuato delle prassi di riferimento per la certificazione parità di genere: le Linee Guida UNI/PdR 125:2022 che individuano dei KPI ossia degli indicatori cui riferirsi per ottenere la certificazione e che si dividono in sei aree:
A ciascuna di queste sei aree è assegnato un peso percentuale utile ad individuare il livello raggiunto dall’azienda da cui partire per misurare i progressi fatti nel tempo. La certificazione della parità di genere è infatti da considerare più come un obiettivo che un risultato. Si tratta di un percorso in cui l’azienda deve misurarsi con se stessa in un'ottica di continuo miglioramento. Attraverso la valutazione dei singoli KPI, l’azienda che consegua un punteggio pari o superiore al 60% ottiene la certificazione. Il percorso prosegue con un monitoraggio annuale e verifiche biennali aventi lo scopo di valutare i progressi effettuati dall’azienda con il fine di mantenere la validità della certificazione.
Quali i benefici?
In primo luogo è necessario sottolineare il virtuosismo di tale risultato: un luogo di lavoro che sia in grado di sanare le differenze tra i lavoratori e, al contempo, ne sappia valorizzare al meglio le potenzialità, beneficerà di un alleggerimento delle altrimenti fisiologiche tensioni oltre che di migliori performance.
I fondi stanziati preordinati al raggiungimento del necessario traguardo della parità di genere garantiscono inoltre la possibilità di accedere a interessanti esoneri contributivi. L’INPS ha infatti chiarito le modalità di fruizione di tali sgravi attraverso una circolare3 in cui è stato chiarito che l’esonero viene calcolato sulla contribuzione previdenziale complessivamente dovuta dal datore di lavoro, in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui. Tale beneficio è fruito dai datori di lavoro in riduzione dei contributi previdenziali – che possono essere oggetto di sgravio – previsti a loro carico su base mensile per ogni mensilità di validità della certificazione della parità di genere.
Non solo multinazionali
Sebbene, a primo impatto, la certificazione possa apparire come un obiettivo raggiungibile solo per le grandi imprese, è necessario chiarire che le modalità definite nelle Linee Guida UNI/PdR 125:2022 tengono conto della dimensione dell’azienda. Nello specifico, sono previste quattro fasce (cluster) in cui si suddividono le organizzazioni sulla base del numero dei dipendenti:
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Le linee guida indicano i KPI che devono essere raggiunti necessariamente per ottenere la certificazione sulla base delle dimensioni dell’azienda. In questo modo, gli sforzi richiesti alle imprese che aspirino al conseguimento della certificazione saranno proporzionati e non eccessivamente gravosi.
Vi è altresì da considerare che, oltre ai menzionati sgravi contributivi, per le piccole e micro imprese sono previsti due ulteriori vantaggi economici con il fine di agevolare il processo di certificazione:
I benefici non sono solo a breve termine
Un’azienda che scelga di certificarsi per la parità di genere, stanti gli aspetti virtuosi di quest’ultima, può inoltre beneficiare di una rinnovata reputazione all’interno del tessuto produttivo italiano e internazionale. L’azienda certificata risulterà dunque certamente più appetibile sia nell’ambito di operazioni straordinarie che nella gestione delle attività quotidiane attirando l’attenzione dei numerosi clienti e consumatori sensibili a tematiche così rilevanti.
Vi è poi da considerare che le normative nazionali ed europee sono positivamente improntate a raggiungere il traguardo della parità di genere. Basti pensare che l’Agenda 2030 dell’ONU, sottoscritta nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, indica al punto 5 l’obiettivo di parità di genere che mira, in prima battuta, a “porre fine, ovunque, a ogni forma di discriminazione nei confronti di donne e ragazze”. Tale obiettivo, caro ai legislatori europei, si traduce in normative che, progressivamente, porranno obblighi e adempimenti in capo ai datori di lavoro. Un esempio è la recentissima direttiva 2023/970/UE – che verrà recepita in Italia nel corso dei prossimi tre anni – con la quale si prevede il diritto per i lavoratori e i loro rappresentanti di ricevere informazioni trasparenti sui livelli retributivi individuali e medi suddivisi per genere con lo scopo di abbattere la barriera del gender pay gap.
La certificazione per la parità di genere fornisce un consistente supporto per allinearsi a quanto previsto dalle normative di prossima applicazione contribuendo ad evitare ai datori di lavoro di farsi trovare impreparati o di incorrere in sanzioni.
Dott. Luca Villa
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1 McKinsey & Company, “The price of gender inequality”, 2020, disponibile al seguente indirizzo: https://www.mckinsey.com/~/media/McKinsey/Email/Classics/2020/2020-09-classic.html
2 Eurostat, “Gender pay gap statistics”, 2021, disponibile al seguente indirizzo: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Gender_pay_gap_statistics ha evidenziato che mediamente, in Unione Europea, nelle aziende che impiegano più di dieci dipendenti, le donne soffrono di un pay gap del 12,7%.
3 INPS, circolare 137 del 27 dicembre 2022.