Le interazioni sui social (like, post, espressioni di emoticon etc.) stanno diventando sempre più oggetto di controllo da parte dei datori di lavoro.
Le "regole social" nel contesto lavorativo sono principalmente stabilite dalla Giurisprudenza, che nel corso degli anni ha delineato i limiti della pervasività del controllo datoriale e dei poteri disciplinari ad esso connessi.
Le chat scambiate tra colleghi.
Se una timida Giurisprudenza inizialmente permetteva di licenziare i dipendenti per i messaggi scambiati in chat private che avevano ad oggetto condotte contrarie al rispetto del vincolo fiduciario, successivamente tali comunicazioni sono state considerate confidenziali e, a meno di eccezioni, non possono più costituire una base per sanzioni disciplinari.
Da ultimo la sentenza n. 170/2023 della Corte Costituzionale, nel caso Renzi - Open, sembra aver suggellato tale interpretazione considerando le chat come corrispondenza privata tutelata ai sensi dell’art. 15 Cost. e come tale segreta e inviolabile.
Post pubblicati sui social network.
La situazione muta quando si tratta di post pubblicati sui social network. Questi post, avendo una maggiore diffusione, possono giustificare il licenziamento di un dipendente come pacificamente ormai sostenuto dalla Giurisprudenza.
Un esempio di ciò è accaduto a Catanzaro, dove una collaboratrice della mensa scolastica ha criticato la qualità del cibo servito su Facebook, mettendo in dubbio l'onestà dei consiglieri comunali che avevano effettuato un'ispezione nella mensa.
In questo caso, il Giudice del Lavoro (Corte di appello di Catanzaro, sezione lavoro, sentenza 1352 del 28 dicembre 2021) ha sancito che il datore di lavoro ha il diritto di controllare i profili social dei dipendenti e di prendere provvedimenti disciplinari se i post sono offensivi o sono stati scritti durante l'orario di lavoro, in quanto tali post sono considerati pubblici e possono danneggiare l'immagine aziendale.
I giudici sono arrivati a considerare anche le emoticon da sole come in grado di esprimere il pensiero e la volontà di chi le utilizza.
A Genova, un lavoratore è stato licenziato legittimamente per commenti denigratori diffusi in una chat. In questo caso, il gruppo comprendeva numerosi utenti e il lavoratore ha espresso mediante emoticon di approvazione ("applauso", "braccio muscoloso" e "faccia sorridente"), le frasi offensive rivolte al datore di lavoro.