Gli accordi per la distribuzione dei beni sono un elemento fondamentale per far sì che questi possano giungere ai consumatori. Nel tempo sono intervenute diverse normative per la loro regolamentazione, negli ultimi anni soprattutto per evitare pratiche che potessero danneggiare la concorrenza sul mercato e di conseguenza i consumatori.
Alcune particolari tipologie di accordi di distribuzione, nonostante abbiano la potenzialità di incidere sul livello di concorrenza nella vendita di beni o servizi, sono state ritenute lecite in presenza di alcune condizioni. Tra queste tipologie vi è quella degli accordi di distribuzione selettiva, contemplati a livello europeo dal Regolamento (UE) n. 330/2010, che sono volti alla creazione di un sistema di distribuzione “nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati”.
La ragione per cui gli accordi di distribuzione selettiva sono stati esentati dal divieto generale di pratiche commerciali scorrette previsto all’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE), sempre che rispettino determinati parametri, è che essi sono in grado di proteggere i marchi, esaltando la qualità e l’eccellenza dei loro prodotti e preservandone contemporaneamente la stabilità e la coerenza dell’immagine e la loro percezione da parte dei consumatori.
Proprio l’obiettivo della protezione dei marchi e della percezione che ne hanno i consumatori ha permesso ai produttori di beni di lusso, prime fra tutti le case di alta moda, di poter legittimamente creare degli accordi di distribuzione selettiva ed anche di chiederne la tutela in sede giudiziale (in questo senso si era già espressa nel 2009 la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza C-59/08).
Nell’ambito di tutela degli accordi di distribuzione selettiva si inserisce la recente decisione del Tribunale di Milano in favore della Sisley, la società francese produttrice di cosmetici di alta gamma, di ordinare ad Amazon di rispettare tale struttura di vendita dei prodotti e di evitare pratiche che potessero ledere il suo prestigio.
La questione tra la maison francese ed il colosso di Seattle era sorta a causa del modello di business di quest’ultimo, che prevede di mostrare ai propri utenti, oltre ai beni da loro effettivamente ricercati, anche una gamma di prodotti simili o ad essi accostabili. Questa politica commerciale aveva portato Amazon a far sì che i prodotti della Sisley venissero “mostrati e offerti mescolati ad altri articoli, quali prodotti per la casa e per le pulizie, prodotti comunque di basso profilo e di scarso valore economico”.
Queste pratiche di accostamento tra prodotti compiuta dalla società di e-commerce state denunciate dal produttore francese come “lesive del prestigio e dell’immagine del marchio” e riconosciute come tali dalla Sezione specializzata delle imprese del Tribunale di Milano.
Infatti, nella propria ordinanza del luglio del 2019 la Corte meneghina, dopo aver rilevato la liceità della struttura di distribuzione della Sisley, ha stabilito che devono “ritenersi lesive del prestigio e dell’immagine del marchio Sisley la commercializzazione, l’offerta in vendita, la promozione e la pubblicizzazione di prodotti di quest’ultima accanto a materiale pubblicitario di prodotti di altre marche, anche di segmenti di mercato più bassi, nella stessa pagina internet”.
L’ordinanza del Tribunale di Milano ben rispecchia, quindi, quegli obiettivi di tutela dei marchi e del prestigio dei produttori espressi anche a livello europeo e, soprattutto, presenta delle disposizioni che potranno permettere la loro salvaguardia nell’ambito ancora poco definito del commercio digitale.